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domenica 05 settembre 2010 |
Intercettazioni: Le regole matte della legge-bavaglio |
di Franco Cordero |
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Diritto e Giustizia: Forse l'ostetrico rinvia all'autunno il parto mostruoso in tema d'intercettazioni (ne discorrevamo qui, 18 giugno), sotto unguento cosmetico, che figuri meno repellente, ma la macchina biologica berlusconiana lascia pochi dubbi: gli alligatori non hanno ripensamenti perché non pensano; aveva impegnato parola e maschera su questo slam, prova generale del futuro dominio, quindi vorrà schiudere l'uovo; desistendo non sarebbe più lui. Le sonde lo danno in calo e ne tiene un conto ossessivo. Vediamo cosa escogitano stregonerie leguleie. Nel sistema attuale il provvedimento autorizzativo viene da un giudice: lo stesso competente in materia cautelare o d'incidente probatorio; secondo l'art. 267, c. 1, littera Berlusconis, provvederà collegialmente il tribunale nel capoluogo del distretto, avendo sotto gli occhi l'intero fascicolo. Due colossali anomalie. |
Le tre teste stanno fuori d'ogni misura, visto che nell'udienza preliminare ne basta una, sebbene vi accadano cose importantissime: dispone il dibattimento o dichiara non luogo a procedere; e nel rito abbreviato assolve o condanna, anche su accuse da ergastolo, commutato in trent'anni. Nell'allegro manicomio italiota il permesso d'intercettare richiede la terna deliberante. Con una mossa il Joker dissesta apparati già poveri e sovraccarichi: i tempi morti imposti dalla distanza geografica allungano l'iter; costerà il triplo, col rischio che qualcosa trapeli; e i tre diventano inidonei a giudicare quel caso, sotto pena d'una nullità assoluta. Bel lavoro, i guasti erano calcolati a freddo.
L'art.
267, c. 1, enumera i requisiti, cominciando dai "gravi indizi di reato". Poi che le linee da sorvegliare siano intestate agl'incriminabili (chiamiamoli N) ovvero risultino "effettivamente e attualmente" usate dagli stessi o da persone diverse, consapevoli dell'ipotetico reato: purché "concreti elementi" lascino supporre scambi d'idee sul tema de quo; idem se il pubblico ministero vuol acquisire i tabulati del traffico telefonico o telematico (opera nient'affatto invasiva). Sfuggono i telefoni degl'ignari, dai quali ogni tanto N comunica, ad esempio quello della vecchia madre o d'alberghi, botteghe, bar dove mette piede pour cause. Saranno terribilmente difficili le riprese visive: se i luoghi appartengono a persone diverse, costoro devono sapere su cosa l'inquirente indaghi; e non basta; occorrono "concreti elementi per ritenere che le relative condotte" attengano "ai medesimi fatti". Parole enigmatiche, intendiamole nel senso che la presenza e il contegno in loco abbiano un nesso con l'ipotetico reato. Perché mai? Può darsi che N vada lì pensando tutt'altro, ma convenga tenerlo d'occhio (infatti, salta fuori l'happening); ed è assurdo esigere cognizioni de homine nel possessore dei locali: esistono case ospitali, nelle cui sale, piscine, giardini pensili sfilano tanti ignoti o quasi. I pasticheurs della Casa d'Arcore non valgono Gustave Flaubert o Marcel Proust in talento verbale e hanno idee sconnesse; lo scempio viene anche dal difetto nel manico ma è chiarissimo l'intento: moltiplicano le difficoltà d'una decisione affermativa imponendo ai motivanti corvées dialettiche su cui discutere all'infinito. Sarà molto più comodo rispondere no.
Veniamo alle forme: "decreto motivato contestualmente e non successivamente modificabile o sostituibile"; idem nel c. 2. Non è battuta innocua. Il veleno trasuda dalla coda. L'art. 291 esclude le prove acquisite contro divieti legali. Ora, l'art. 227, c. 1, ne commina quattro: vi ricade ogni intercettazione rispetto a cui manchino gli esosi requisiti; se ricorressero o no (ad esempio, i gravi indizi o gli scenari mentali delle persone nel cui domicilio la spia meccanica occulta capta immagini e parole), verrà stabilito secondo le parole del decreto, non una sillaba in più: ogniqualvolta emergano minime falle, e gli avvocati ne scoveranno mille giocando sulla formula sibillina, allestita ad hoc, i materiali raccolti rischiano l'oblio, anche dove la prova splende più del sole, e gli scandalosamente assolti diranno d'essere innocenti, sferrando querele contro chi li tocca. In tribunale, appello, Cassazione, ascolteremo interminabili logomachie con prognosi postume: i giudizi penali diventano materia friabile; il condannato all'ergastolo forse uscirà indenne, svanendo la prova acustica delle gesta delittuose.
Nell'attuale art. 267, c. 3, il pubblico ministero fissa i tempi dell'ascolto, fino a quindici giorni, prorogabili d'altrettanti, senza limiti al numero delle proroghe. I nascenti commi 3, 3-bis. 3-ter combinano un doppio regime. Il testo votato dalla Camera ne accorda trenta, prorogabili a quarantacinque: una seconda proroga è ammessa solo "qualora siano emersi nuovi elementi"; e scaduto il sessantesimo, gli N parlano impunemente; fossero uditi, le parole conterebbero zero, come non dette. E se telecamere occulte fissano delitti flagranti, chiuderemo virtuosamente gli occhi? Nei casi previsti dall'art. 51, cc. 3-bis e 3 quater, invece, il massimo sale a quaranta, prorogabili della metà quante volte occorra; scema anche il rigore dei requisiti: bastano "sufficienti" indizi e la spia può captare dialoghi tra presenti in luoghi dove non siano presumibili condotte delittuose. Disparità irrazionale: omicida, falsario, corruttore, corrotto e via seguitando, non meritano più riguardi del narcotrafficante; né vediamo perché nel loro caso la prova debba riuscire particolarmente ardua. Il testo modificato a Palazzo Madama impone i ritmi convulsi delle comiche chapliniane: trenta giorni, prorogabili a quarantacinque, indi sessanta, constando "nuovi elementi, specificamente indicati", più una terza eventuale proroga, d'ancora quindici, solo però se bisogna impedire "conseguenze ulteriori" del delitto o "altri reati". Consumati i settantacinque, il pubblico ministero può disporre l'ascolto, al massimo un triduo ogni volta, salvo convalida. Ripetiamolo, sono regole matte degne dell'Italia berlusconiana. E notiamo il nuovo nomen delicti, rivelazione illecita dei segreti d'un procedimento penale. L'imputato può disfarsi dell'avversario denunciandolo: l'effetto è automatico; quel pubblico ministero scomodo sarà sostituito (art. 36). Non l'avete ancora capito? Lui plana super leges, tenendo i soci sotto le ali, e nessuno disturbi i grassi topi annidati nel malaffare governativo.
Fonte : Repubblica del 24 giugno 2010 |
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di: Costantino D'Onorio De Meo |
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