Venerdì 15 luglio
Furore (The Grapes of Wrath, USA 1940, b/n, 129') di John Ford, con Henry Fonda, Jane Darwell, John Carradine, Charley Grapewin
Dall'Oklahoma alla California a bordo di un vecchio camion, la famiglia contadina di Tom Joad, travolta come migliaia di altre dalla Grande Depressione del 1929, affronta un avventuroso viaggio verso la "terra promessa" dove sperano di trovare il lavoro. Ma Tom, che è appena uscito di prigione ed è ricercato dalla polizia, deve lasciare i suoi cari per non metterli nei guai. Un capolavoro di John Ford che ricrea, con eccezionale intensità, il clima del romanzo omonimo di John Steinbeck (1902-1968) da cui è tratto. Un racconto per immagini perfetto nella sua impeccabile, rigorosa essenzialità; grandi interpretazioni di protagonisti e comprimari. Il film più duro e di maggior valore umanitario e sociale di John Ford, che non era "solo" un regista di western, come lui amava definirsi. Un poema di solenne pietà, un'opera potente e senza tempo: non un documento del cinema, ma un documento generale di storia. Due soli, ma meritatissimi Oscar: regia e attrice non protagonista (Jane Darwell).
Venerdì 22 luglio
Il nome della rosa (Italia/Francia/Rft 1986, col.,125'), di Jean-Jacques Annaud, con Sean Connery, Christian Slater, F. Murray Abraham,
Nell'autunno del 1327, il frate francescano Guglielmo di Baskerville, accompagnato dal novizio benedettino Adso da Melk, risolve l'intricata matassa di una serie di misteriosi delitti avvenuti in una maestosa e solitaria abbazia benedettina dell'Italia del Nord. Libera interpretazione del romanzo-fenomeno di Umberto Eco (1932-2016), venduto in milioni di copie in tutto il mondo. Il respiro filosofico, la miriade di citazioni e la colta ironia che caratterizzano il romanzo si smarriscono nella sua trasposizione cinematografica, che peraltro ne conserva l'atmosfera cupa e rarefatta. Annaud tenta una riduzione che ne salvi almeno il fascino dell'intrigo alla Sherlock Holmes in pieno Medioevo. Impossibile pretendere la restituzione fedele di una creazione letteraria complessa, autentica opera metafisica di indagine, basata su un parodico e labirintico gioco di incastri, mascheramenti, rimandi, parafrasi e rapporti intertestuali. Film calligrafico e dalla splendida fotografia, eccellente nella caratterizzazione di personaggi e luoghi. Raffinata interpretazione di Sean Connery.
Venerdì 29 luglio
L'attimo fuggente (Dead Poets Society, USA 1989, col., 129') di Peter Weir, con Robin Williams, Robert Sean Leonard, Ethan Hawke, Josh Charles, James Waterston
All'Accademia Welton, un elitario college americano del New England, nell'autunno del 1959 arriva un nuovo insegnante di letteratura, John Keating, entusiasta del poeta Walt Whitman (1819-1892), che si fa subito notare per i metodi pedagogici assolutamente inconsueti per i tempi e per l'istituto: con gesti a volte plateali infonde negli studenti l'amore per la vera poesia e, soprattutto, una grande fiducia nei loro mezzi intellettuali. Un salutare inno alla rivolta e al carpe diem, significativamente collocato un anno prima dei fatidici anni Sessanta. Coraggioso nella scelta tematica, discutibile nella sua acritica esaltazione dell'individualismo, e con qualche forzatura retorica, è una macchina narrativa perfettamente oliata che non perde un colpo sino al finale che scalda il cuore, inumidisce gli occhi e strappa l'applauso. Un grande successo, nonostante l'eccessiva enfasi melodrammatica e l'istrionismo di Robin Williams. O forse proprio in virtù di essi. Oscar alla sceneggiatura di Tom Schulman.
Giovedì 4 agosto
Poeti dall'inferno (Total Eclipse, GB/Francia/Belgio 1995, col., 110') di Agnieszka Holland, con Leonardo DiCaprio, David Thewlis, Romane Bohringer, Dominique Blanc
Arrogante e infantile, Arthur Rimbaud ((1854-1891) arriva a Parigi appena sedicenne e con le sue poesie conquista subito la stima di Paul Verlaine (1844-1896), poeta più maturo e già affermato nel mondo letterario della Ville Lumière. Ben presto il loro sodalizio intellettuale si trasforma in un tempestoso legame sentimentale destinato a sfociare nel dramma. La regista polacca sceglie di raccontare la passione che, nel triennio 1871-1873, legò i due grandi poeti francesi, ma non c'è nulla di agiografico o patinato nella sua ricostruzione di questo rapporto tutto "genio e sregolatezza". Anzi, semmai qui la sregolatezza è padrona quasi assoluta del campo, in tutta la sua dissoluzione di qualsiasi parvenza di "umanità", descritta in modi così espliciti e crudi da meritarsi in Italia il divieto ai minori di 18 anni. L'asprezza della storia è accentuata dalla presenza della giovanissima moglie di Verlaine: la tormentata relazione tra i due poeti si trasforma in una partita triangolare. Il nucleo centrale regge anche in virtù dei due protagonisti, soprattutto dello scattante DiCaprio, magistrale nell'interpretare il genio più folgorante e turbolento della poesia moderna.
Giovedì 11 agosto
Shakespeare in love (USA 1998, col., 122') di John Madden, con Joseph Fiennes, Gwyneth Paltrow, Geoffrey Rush, Judi Dench, Colin Firth, Ben Affleck
Estate del 1593. William Shakespeare (1564-1616) è un giovane astro in ascesa del teatro elisabettiano, ma sente che la sua vena creativa si sta esaurendo. Per quanto si sforzi, non riesce a iniziare la sua nuova e attesissima opera, "Romeo ed Ethel, la figlia del pirata". Troverà l'ispirazione in lady Viola, decisa a diventare attrice nonostante sia una carriera vietata alle donne. Al di là del lusso scenografico e della presa emotiva sullo spettatore, è un film "postmoderno", dove Shakespeare è raccontato come uno sceneggiatore del '900, poeta borghese, commediografo, attore, impresario, regista. Una commedia programmaticamente "spregiudicata" che, reinventando la Storia a misura di spettacolo (Shakespeare va persino dallo psicoanalista), riafferma l'idea romantica della vita che ispira l'arte e rende il Bardo accessibile al grande pubblico. Sceneggiatura vivace, debordante e magnificamente bugiarda, con una messa in scena da dramma elisabettiano rivolto all'intelligenza dei nobili e al cuore del popolo che vi trova intreccio, avventura, amore. Tredici nomination e sette Oscar.
Giovedì 18 agosto
Bright Star (Gb/Australia/Francia/Usa 2009, col., 118') di Jane Campion, con Ben Whishaw, Thomas Sangster, Abbie Cornish, Paul Schneider Griffiths
Londra 1818. Tra il 23enne poeta inglese John Keats (1795-1821) e Fanny Brawne, sua vicina di casa e candida studentessa di alta moda, divampa una passione amorosa intensa e tormentata, fino a trasportare i due innamorati in un crescendo emotivo che rasenterà l'ossessione. Ineluttabile la separazione che culminerà con la morte a Roma del giovanissimo poeta, affetto da tubercolosi. Il film della regista neozelandese è un'intima e partecipe riflessione sulle origine dell'amore romantico, e mostra che, se sono gli uomini a inventare le parole per esprimerlo, sono le donne a viverlo. Fin dalle prime inquadrature, tutto è profondamente femminile, raccontato e presentato in modi così fisici, materiali, quotidiani, che donne, uomini, bambini del primo '800 sembrano nostri contemporanei. La storia di questo amore sembra accadere in un tempo che sta fuori dal tempo. Attraverso gli occhi e il cuore appassionato di una giovane donna, lo spettatore ignaro si avvicina a una poesia apparentemente lontana dal nostro mondo. Non una star nel meraviglioso cast di interpreti, ma è difficile dimenticare la forza con cui Fanny ama Keats e soffre per la sua perdita.
Venerdì 26 agosto
Il giovane favoloso (Italia 2014, col., 134') di Mario Martone, con Elio Germano, Isabella Ragonese, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Valerio Binasco, Paolo Graziosi, Edoardo Natoli
Il racconto della breve vita di Giacomo Leopardi (1798-1837), dalla Recanati della biblioteca paterna fino alla Napoli del colera e del Vesuvio. Il ritratto di un uomo libero di pensiero, socialmente spregiudicato, ribelle e spesso emarginato dalla società e dal tempo in cui vive. Quella che il regista napoletano ci restituisce, in un film ambizioso e serrato, è la biografia emotiva e artistica di un genio tormentato, vulnerabile e straziato, di un giovane uomo lacerato nel fisico e nell'anima, di un artista profetico e originale, dalla grande lucidità intellettuale e dall'infinita ironia. Gli stereotipi e le lusinghe della vulgata, la retorica del «poetico», il fascino di una figura che oggi può risultare perfino esotica, la morbosità della deformità fisica, il rapporto per qualcuno «ambiguo» di Leopardi con l'amico Ranieri: tutto questo c'è nel film di Martone, eppure niente di tutto questo ne costituisce l'ossatura che, al contrario, va ricercata nell'incessante tensione verso l'assoluto, verso quell'«infinito» sublimemente descritto da Leopardi nella sua più celebre poesia. Uno struggente film sulla giovinezza, sullo scontro coi padri, sul bisogno di utopie. Sulla scoperta del mondo, di sé, dell'amore, del desiderio, dell'amicizia. Straordinaria l'interpretazione mimetica di Elio Germano.
Dalla lettura di un pezzo di vera contemporanea poesia,
si può dire che essa aggiunga un filo
alla tela brevissima della nostra vita.
GIACOMO LEOPARDI
Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita.
Chi legge avrà vissuto 5000 anni.
La lettura è un'immortalità all'indietro.
UMBERTO ECO
Un libro deve essere l'ascia per il mare gelato che è in noi.
FRANZ KAFKA